Avvocato Domenico Esposito
 

 

IL RISARCIMENTO SPETTA SIA IN CASO DI VITTORIA CHE DI SOCCOMBENZA

 

Il diritto all'equa riparazione di cui all'art. 2 l. n. 89 del 2001 spetta a tutte le parti del processo, indipendentemente dal fatto che esse siano risultate vittoriose o soccombenti e dalla consistenza economica o dall'importanza sociale della vicenda, a meno che l'esito del processo presupposto non abbia un diretto riflesso sull'identificazione o sulla misura del pregiudizio sofferto dalla parte in conseguenza della eccessiva durata della causa, come quando il soccombente abbia promosso una lite temeraria o abbia artatamente resistito in giudizio al solo fine di perseguire la irragionevole durata di esso, o - comunque - quando risulti la piena consapevolezza della infondatezza delle proprie istanze o della loro inammissibilità. Di tutte queste situazioni, comportanti abuso del processo e perciò costituenti altrettante deroghe alla regola della risarcibilità della sua irragionevole durata, deve dare la prova la parte che le eccepisce per negare la sussistenza dell'indicato danno. (Nella specie in applicazione del riferito principio la Suprema Corte ha affermato che non esisteva congrua e adeguata motivazione del fatto che l'istante si sarebbe reso responsabile di lite temeraria o, comunque, di un vero e proprio abuso del processo, tale non essendo la mera considerazione che le concrete emergenze processuali conducano a ritenere il ricorrente consapevole dell'infondatezza della pretesa, in assenza di ogni esplicitazione delle ragioni che indurrebbero a ritenere sussistente l'ipotesi di lite temeraria o di abuso del processo). (dalla massima)
Cassazione civile, sez. I, 13/10/2010, n. 21180

 

Cassazione civile, sez. I 13/10/2010 n. 21180
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. SALME' Giuseppe - Presidente -
Dott. DI PALMA Salvatore - Consigliere -
Dott. ZANICHELLI Vittorio - Consigliere -
Dott. SCHIRO' Stefano - rel. Consigliere -
Dott. DIDONE Antonio - Consigliere -
ha pronunciato la seguente:

ordinanza

sul ricorso proposto da:
........................., elettivamente domiciliata in Roma, via ................................, presso l'avv. ................................, che la rappresenta e difende per procura in atti; - ricorrente -

contro

Presidenza del Consiglio dei Ministri, in persona del Presidente pro tempore, e Ministero dell'Economia e delel Finanze, in persona del Ministro pro tempore; - intimati -

avverso il decreto della Corte d'appello di Genova in data 23 gennaio 2009, nella causa iscritta al n. 450/2005 R.G. AA.CC;
udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 21 aprile 2010 dal relatore, Cons. Dott. Stefano Schirò;
alla presenza del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale, Dott. RUSSO Rosario Giovanni, che nulla ha osservato;
La Corte:

RILEVATO IN FATTO E DIRITTO

che:

1. è stata depositata in cancelleria relazione ai sensi dell'art. 380 bis c.p.c., comunicata al Pubblico Ministero e notificata all'avvocato della ricorrente;

................................., quale erede di M.G., ha proposto ricorso per cassazione avverso il decreto in data 23 gennaio 2009, con il quale la Corte di appello di Genova - in sede di giudizio di rinvio, a seguito di sentenza della Corte di cassazione 11 maggio 2005, n. 9921, che aveva annullato precedente decreto della stessa Corte di appello in data 17 dicembre 2002 - ha rigettato il ricorso proposto dal dante causa ............................. per la condanna della Presidenza del Consiglio dei Ministri al pagamento in suo favore di un indennizzo per il superamento del termine di ragionevole durata di un processo da lui instaurato davanti al Tar Toscana con ricorso del 31 gennaio 1996 e deciso con sentenza di rigetto del 18 marzo 2002;

la Presidenza del Consiglio dei Ministro ed il Ministero dell'Economia e delle Finanze, intimati, non hanno svolto attività difensiva; la ricorrente ha depositato memoria ai sensi dell'art. 380 bis c.p.c.;

la Corte di appello di Genova ha rigettato la domanda di equa riparazione, in quanto il ricorso, di natura collettiva, all'origine del giudizio presupposto appariva originariamente sfornito di apprezzabili prospettive di successo, essendo diretto a contrastare un orientamento già consolidato in sede amministrativa, con la conseguenza che, essendo il ricorrente consapevole dell'infondatezza della pretesa, vi era ragione di escludere la sussistenza di un danno riconducibile all'irragionevole protrarsi del processo;

2. la ricorrente ............................., figlia ed erede di M. G., deceduto il (................) nelle more della pubblicazione della decisione della Corte di appello, censura il decreto impugnato, proponendo tre motivi con i quali lamenta la violazione del principio di diritto enunciato nella sentenza di rinvio di questa Corte 2005/9921 (primo motivo) nonchè l'esclusione del danno non patrimoniale, in considerazione del rigetto della domanda, dalla quale la Corte di merito ha desunto la consapevolezza nel ricorrente dell'infondatezza della propria pretesa, senza considerare che gli eventuali precedenti sfavorevoli non erano idonei a configurare nella specie una situazione di abuso del processo (secondo e terzo motivo);

3. in via preliminare va rilevato che il decreto impugnato indica quale parte intimata il Ministero della Giustizia e che tuttavia si tratta di un mero errore materiale, poichè dalla notifica del ricorso di merito risulta che il giudizio di rinvio è strato correttamente introdotto nei confronti della Presidenza del Consiglio dei Ministri; ancora in via preliminare deve essere considerato inammissibile il ricorso per cassazione proposto nei confronti del Ministero dell'Economia e delle Finanze, sprovvisto di legittimazione passiva alla stregua della normativa applicabile alla fattispecie ratione temporis;

i tre motivi, da esaminare congiuntamente in quanto giuridicamente e logicamente connessi, sono manifestamente fondati nei termini qui di seguito precisati;

la sentenza di questa Corte n. 9921 del 2005, che ha cassato il primo decreto della Corte d'appello di Genova così originando il giudizio di rinvio con il provvedimento qui impugnato, ha enunciato il principio di diritto che in caso di lesione del diritto della parte alla ragionevole durata del giudizio il danno non patrimoniale è da presumersi sino a prova contraria e che nessun specifico onere di allegazione può essere addossato al ricorrente, essendo semmai l'amministrazione resistente a dover fornire elementi idonei a far escludere la sussistenza di un tal danno in concreto; la circostanza che il ricorso fosse stato proposto da una pluralità di attori e che non fossero specificati gli elementi costitutivi del danno non patrimoniale non poteva dunque avere rilievo al fine di escludere l'indennizzabilità del pregiudizio, pur sempre presuntivamente sofferto dai ricorrenti del pari ininfluente a tale fine, secondo al menzionata sentenza di questa Corte, è il fatto che la causa svoltasi davanti al Tar abbia avuto un esito non positivo per il ricorrente e che questi non abbia poi impugnato la sentenza emessa dal Tar medesimo; infatti l'esito favorevole della lite non condiziona il diritto alla ragionevole durata del processo, nè incide, di per sè, sulla pretesa indennitaria della parte che abbia dovuto sopportare l'eccessiva durata della causa (salva che essa si sia resa responsabile di lite temeraria o, comunque, di un vero e proprio abuso del processo: cfr. Cass. 2003/3410);

il principio di diritto enunciato da questa Corte con la sentenza di annullamento e la motivazione del decreto impugnato rendono chiara la violazione del suddetto principio da parte della Corte d'appello in sede di giudizio di rinvio, in quanto la Corte medesima si è limitata ribadire, con argomentazione carente e incongrua, che la consapevolezza dell'infondatezza della pretesa sarebbe sufficiente a far vincere la presunzione di danno non patrimoniale, in manifesto contrasto con il principio di diritto che la vincolava;

va in questa sede ribadito che il diritto all'equa riparazione di cui alla L. n. 89 del 2001, art. 2, spetta a tutte le parti del processo, indipendentemente dal fatto che esse siano risultate vittoriose o soccombenti e dalla consistenza economica o dall'importanza sociale della vicenda, a meno che l'esito del processo presupposto non abbia un indiretto riflesso sull'identificazione o sulla misura del pregiudizio sofferto dalla parte in conseguenza dell'eccessiva durata della causa, come quando il soccombente abbia promosso una lite temeraria, o abbia artatamente resistito in giudizio al solo fine di perseguire l'irragionevole durata di esso, o comunque quando risulti la piena consapevolezza dell'infondatezza delle proprie istanze o della loro inammissibilità; di tutte queste situazioni, comportanti abuso del processo e perciò costituenti altrettante deroghe alla regola della risarcibilità della sua irragionevole durata, deve dare prova la parte che le eccepisce per negare la sussistenza dell'indicato danno (Cass. 2005/19204; 2005/21088; 2006/7139);

nella specie, delle circostanze sopra indicate, in particolare del fatto che l'istante si sarebbe reso responsabile di lite temeraria, o comunque di un vero e proprio abuso del processo, non vi è congrua e adeguata motivazione, tale non essendo la mera e apodittica considerazione che le concrete emergenze processuali conducono a ritenere i ricorrenti consapevoli dell'infondatezza della pretesa, in difetto di ogni esplicitazione delle ragioni che indurrebbero a ritenere sussistente l'ipotesi di lite temeraria o di abuso del processo;

4. le argomentazioni che precedono conducono all'accoglimento del ricorso, con conseguente annullamento del decreto impugnato in ordine alla censura accolta;
non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, la causa può essere decisa nel merito, ai sensi dell'art. 384 c.p.c., comma 2; in particolare, in applicazione dello standard temporale CEDU - a cui nessun argomento del ricorso impone e consente di derogare in ordine al termine triennale di durata ragionevole del giudizio di primo grado - e di quello relativo alla quantificazione dell'indennizzo - che, secondo la giurisprudenza di questa Corte, va individuato nella somma di Euro 750,00 per ciascun anno di ritardo per il primo triennio eccedente la durata ragionevole (Cass. 2009/16086), dovendo invece aversi riguardo per quelli successivi, al parametro di Euro 1.000,00 per anno di ritardo, tenuto conto che l'irragionevole durata eccedente tale periodo comporta un evidente aggravamento del danno (Cass. 2009/16086; 2010/819) - va riconosciuta alla ricorrente la somma di Euro 2.416,00, in relazione agli anni eccedenti la durata ragionevole, ossia anni tre e due mesi, essendosi il processo presupposto protratto dal 31 gennaio 1996 al 18 marzo 2002 per una durata complessiva di sei anni e due mesi, oltre agli interessi legali dalla domanda al saldo, al cui pagamento deve essere condannata la Presidenza del Consiglio dei Ministri;

5. le spese del primo giudizio di merito e del primo giudizio di cassazione, nonchè quelle del giudizio di rinvio e del presente giudizio di cassazione, quest'ultime limitatamente al rapporto tra la M. e la Presidenza del Consiglio dei Ministri, seguono la soccombenza e vanno liquidate come in dispositivo, in base alle tariffe professionali previste dall'ordinamento italiano con riferimento al giudizio di natura contenziosa (Cass. 2008/23397;
2008/25352), con distrazione di tutte le spese in favore del difensore della ricorrente dichiaratosi antistatario; nulla deve disporsi in ordine alle spese del giudizio di cassazione tra la M. e il Ministero dell'Economia e delle Finanze, non avendo detto Ministero svolto attività difensiva.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso nei confronti del Ministero dell'Economia e delle Finanze

Accoglie il ricorso nei confronti della Presidenza del Consiglio dei Ministri nei termini di cui in motivazione.

Cassa il decreto impugnato e, decidendo nel merito, condanna la Presidenza del Consiglio dei Ministri al pagamento in favore della ricorrente della somma di Euro 2.416,00, oltre agli interessi legali a decorrere dalla domanda.
Condanna inoltre la Presidenza del Consiglio dei Ministri al pagamento in favore della ricorrente delle spese del primo giudizio di merito, che si liquidano in Euro 600,00, di cui Euro 200,00 per competenze ed Euro 50,00 per esborsi, oltre a spese generali e accessori di legge, di quelle del primo giudizio di cassazione, che si liquidano in Euro 525,00, di cui Euro 425,00 per onorari, oltre a spese generali accessori di legge, e delle spese del giudizio di rinvio, che si liquidano in Euro 806,00, di cui Euro 311,00 per competenze ed Euro 50,00 per esborsi, oltre a spese generali e accessori di legge.

Condanna inoltre la menzionata Presidenza al pagamento delle spese del presente giudizio, che si liquidano in Euro 525,00 di cui Euro 425,00 per onorari, oltre a spese generali e accessori di legge, con distrazione, per le spese di tutti i giudizi, in favore del difensore del ricorrente, Gabriele De Paola, dichiaratosi antistatario.

Così deciso in Roma, il 21 aprile 2010.
Depositato in Cancelleria il 13 ottobre 2010